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I rottami radioattivi negli impianti di fusione
Le tipologie di sorgenti radioattive che più frequentemente, se non correttamente smaltite, finiscono tra i rottami metallici sono:
- quadranti o altre parti di strumentazione scientifica di varia natura, contenenti radio 226,
- tubi da prospezioni minerarie, con incrostazioni di radionuclidi naturali, anch’essi con radio 226,
- parafulmini (ormai fuori produzione), contenenti radio 226 o americio 241,
- sorgenti per uso industriale o medico di cesio 137 o cobalto 60

Nelle immagini seguenti vediamo alcuni esempi di sorgenti radioattive ritrovate tra i rottami prima di essere fuse

Nonostante le verifiche sui materiali in ingresso presso acciaierie e fonderie siano ormai sistematiche e accurate, la probabilità che una sorgente sfugga a controlli e venga fusa non si azzera mai.
In questo caso le fusioni incidentali vengono evidenziate a posteriori, in genere dai controlli radiometrici su polveri da abbattimento fumi o su scorie, a seconda del tipo di impianto e dell’isotopo e della temperatura di fusione.
Tipicamente le contaminazioni prevalenti sono:
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nelle acciaierie: la fusione di cesio 137 contamina l’impianto d’abbattimento fumi e le polveri; la fusione di cobalto 60 contamina il prodotto finito
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nelle fonderie di alluminio e piombo: la fusione di cesio 137 o di radio 226 contamina i forni fusori e le scorie.
In Lombardia si sono verificate 12 fusioni accidentali dal 1990 ad oggi.
Nella tabella seguente si riportano alcuni dati relativi alle conseguenze di tali incidenti:
In generale le conseguenze di questi incidenti sono nulle per l’ambiente e la salute pubblica ma molto rilevanti in termini economici per le aziende, perché implicano arresto dell’attività produttiva, forni e macchine da smantellare o decontaminare, materiali da smaltire o stoccare e gestire, spese legali, ecc. e generano grandi volumi di materiale contaminato, come si può vedere nella tabella.
Un cumulo di scorie di fusione contaminate
Grazie alla diffusione dei sistemi di sorveglianza radiometrica e al progresso tecnologico, le fusioni accidentali sono diventate, nel corso degli anni, meno frequenti e coinvolgono sorgenti di attività minore.
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I rifiuti radioattivi negli inceneritori
Talvolta piccole sorgenti radioattive dismesse in modo non corretto possono finire tra i rifiuti solidi urbani e conferite presso gli inceneritori. Si tratta di eventi piuttosto rari, ma per evitare che tali sorgenti vengano bruciate contaminando gli impianti, anche gli inceneritori eseguono controlli radiometrici sui materiali in ingresso, così come le aziende che trattano rottami metallici.
In realtà la stragrande maggioranza dei materiali radioattivi ritrovati dagli inceneritori tra i rifiuti è costituita da dispositivi igienici monouso per pazienti incontinenti (i cosiddetti “pannoloni”), contaminati dagli escreti di persone che sono state sottoposte a esami o terapie mediche con somministrazione di radiofarmaci.
Tipicamente si trovano rifiuti contaminati da iodio 131, in quanto molto diffuso e caratterizzato da un tempo di dimezzamento (8 giorni circa) tale per cui la radioattività nei rifiuti permane ed è rilevabile per diverse settimane.
Nel caso in cui, dopo l’allarme al portale radiometrico, si verifichi che si tratta di rifiuti di questo tipo, è sufficiente isolarli e lasciarli decadere per circa 40 giorni, affinché si possano considerare non più radioattivi e trattare come rifiuti ordinari.
Se si trovano invece sorgenti radioattive vere e proprie, esse vengono isolate e smaltite tramite una ditta specializzata.
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La sorveglianza radiometrica sui rifiuti e sui rottami metallici: normativa e indicazioni di ARPA
Dato che la presenza di sorgenti radioattive tra i rottami metallici non è infrequente e può generare gravi danni in caso di fusione, la normativa prevede già da anni l’obbligo di sorveglianza radiometrica per le aziende che trattano rottami metallici e/o importano semilavorati metallici da paesi extra UE: art. 157 del D.Lgs 230/95 come modificato dal D.Lgs. 100.
Per le modalità di esecuzione di questi controlli sui materiali in ingresso esiste una norma tecnica, la UNI 10897:2016 – «Carichi di rottami metallici - Rilevazione di radionuclidi con misure X e gamma».
Questa norma è cogente per le aziende che trattano rottami metallici, ma è un riferimento anche per gli inceneritori di rifiuti (http://store.uni.com/catalogo/uni-10897-2016).
Poiché le aziende dei settori interessati sono soggette anche ad altre norme, per facilitare l’armonizzazione e l’integrazione di queste ultime ARPA Lombardia ha redatto e pubblicato un documento - una Procedura Generale - che, oltre a descrivere quali sono le attività di ARPA in materia (verifica documentale delle procedure delle aziende, sopralluoghi e interventi in caso di emergenza), costituisce anche una guida per le aziende che esercitano sorveglianza radiometrica sui materiali trattati.
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Sorgenti radioattive per uso medico
In medicina, più precisamente in
radioterapia, si usano sorgenti radioattive sigillate, cioè inglobate in matrici solide, per trattare alcune patologie mediante le radiazioni da esse emesse.
Nel trattamento radioterapico di lesioni tumorali in particolari sedi del corpo (cavo orale, collo dell’utero, retto ecc.) si usano sorgenti radioattive molto piccole (in forma di semi, aghi), adatte ad essere introdotte in cavità corporee o interstizi.
Si parla in questo caso di
brachiterapia, cioè radioterapia a distanza ravvicinata, e gli isotopi più utilizzati sono iridio 192 e iodio 125.
In passato si usavano anche sorgenti di cobalto o di cesio per irradiare i tessuti da trattare a distanza; in questo caso si parla di
teleterapia.

Apparecchio per teleterapia
Ora però si utilizzano acceleratori di particelle che producono raggi X ad alta energia e non contengono sorgenti radioattive.
Le sorgenti impiegate a scopo medico vengono gestite da personale specializzato, in strutture ospedaliere, all’interno di un sistema di gestione molto controllato.
E’ quindi difficile, se non addirittura impossibile attualmente, almeno in Italia, che sorgenti radioattive sigillate di uso medico vengano smaltite in modo non corretto.
In
medicina nucleare si utilizzano sorgenti non sigillate, cioè liquide, radiofarmaci a tempo di dimezzamento breve o addirittura brevissimo, (per limitare l’esposizione del paziente e della popolazione), che dopo la somministrazione ai pazienti si concentrano in determinati organi.
Se lo scopo della somministrazione è diagnostico, la distribuzione delle sostanze radioattive nel corpo del paziente viene rivelata con strumenti particolari (gamma-camera, PET-TC) e genera immagini che permettono di individuare anomalie morfologiche o funzionali degli organi interessati.

Esempio di immagine PET cerebrale
Per questo tipo di impiego si sfruttano le emissioni gamma dei radioisotopi.
Se lo scopo della somministrazione è terapeutico, i radiofarmaci vengono scelti in modo da concentrarsi negli organi o tessuti malati, che devono essere colpiti dalle radiazioni, generalmente particelle beta. Si parla in questo caso di radioterapia metabolica.
Per inciso, si impiegano sorgenti non sigillate anche per la marcatura “in vitro” di campioni, in laboratori R.I.A. (Radio Immuno Assay): in tal caso le attività impiegate sono molto ridotte.
Gli escreti dei pazienti trattati con radiofarmaci vengono, per le prime ore dopo la somministrazione, raccolti in apposite vasche di decantazione collegate ai servizi igienici dell’ospedali, dove rimangono per il tempo necessario al completo decadimento della radioattività, prima di essere scaricati in fognatura.
Quando i pazienti sono incontinenti si genera però il problema dei dispositivi igienici monouso che finiscono nei rifiuti solidi urbani, venendo rilevati come radioattivi presso gli inceneritori.
Alcuni dei radionuclidi utilizzati in Medicina Nucleare sono:
carbonio 11, fluoro 18, azoto 13, ossigeno 15, tutti a tempo di dimezzamento brevissimo, prodotti in ciclotroni, e anche rubidio 82 e gallio 68,
tecnezio 99m, iodio 131, iodio 123, tallio 201, indio 111, lutezio 177, erbio 169, ittrio 90, renio 186, samario 153 e radio 223, a tempo di dimezzamento dell’ordine di ore o al massimo giorni.
Tra tutti, il radionuclide più utilizzato è il tecnezio 99 metastabile, usato in diagnostica per le sue emissioni gamma a 140 keV, che ha tempo di dimezzamento di circa 6 ore.
Un altro radionuclide molto utilizzato soprattutto nella terapia dei tumori tiroidei grazie alle sue emissioni di particelle beta, è lo iodio 131, che ha tempo di dimezzamento di circa 8 giorni.
Nei rifiuti solidi urbani che vengono rilevati durante i controlli radiometrici all’ingresso degli inceneritori si trova prevalentemente iodio 131, solo raramente tecnezio 99m.
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Sorgenti radioattive per uso industriale
Le sorgenti radioattive vengono utilizzate in svariate attività industriali; elenchiamo di seguito le più diffuse e gli isotopi in esse impiegate
- Gammagrafie industriali: si utilizzano sorgenti radioattive che emettono raggi gamma altamente penetranti per eseguire radiografie (in questo caso chiamate “gammagrafie”) su manufatti di alta densità. Sono usate soprattutto in metallurgia, per il controllo di saldature o per rilevare difetti di produzione. Alcuni degli isotopi usati sono cesio 137, cobalto 60, iridio 192, selenio 75
- Misure radiometriche di livello, flusso o densità. Per questi impieghi, in metallurgia e nell’industria estrattiva si usano cesio 137e cobalto-60

Misuratore di flusso
- Processi industriali di sterilizzazione, polimerizzazione, conservazione di derrate alimentari: anche in questi casi si usano sorgenti che emettono raggi gamma, e quindi cesio 137e cobalto 60.
In altri casi si usano sorgenti che emettono radiazioni poco penetranti, cioè particelle alfa o beta, come nel caso di:
- Misure di spessore nell’industria tessile o cartaria per esempio, con americio 241 o kripton 85
- Misure di umidità con dispositivi contenenti radio-berillio o americio-berillio
- Analisi chimiche con strumenti che contengono sorgenti di nichel 63 o carbonio 14

Misuratore di spessore
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Lo sapevi che?...
Quando la radioattività non era un pericolo
Dal 1995 la normativa italiana (art. 98 del D.Lgs. 230) proibisce l’aggiunta intenzionale di sostanze radioattive ai beni di consumo, ma non è sempre stato così.
Ora gli effetti sanitari delle radiazioni sono ben noti, ma all’inizio del ‘900 nei primi decenni successivi alla scoperta della radioattività, si pensava che le sostanze radioattive fornissero energia i cui effetti erano solo benefici.
Fu così che il radio, il primo isotopo del quale era stata studiata la natura radioattiva, venne addizionato a molti prodotti: aperitivi (come nell’immagine a lato) e bevande varie energizzanti, acque dalle mille proprietà medicinali, lenti per occhiali che dovevano acuire la vista, filati di lana che dovevano tenere più caldo, palline da golf che se fossero andate perse avrebbero potuto essere ritrovate mediante un contatore Geiger.

Molti di questi usi vennero successivamente abbandonati, ne rimase a lungo tempo uno in particolare: l’uso di vernici radioluminescenti, nelle quali cioè la luminescenza era stimolata dall’emissione radioattiva di un radionuclide ad esse addizionato (solitamente del radio 226).
I più gravi effetti delle radiazioni sono stati evidenziati proprio sulle lavoratrici che dipingevano i quadranti degli orologi usando queste vernici.
Per questo esistevano e sono ancora in circolazione quadranti luminosi di orologi (non più in commercio) o di strumenti scientifici di uso militare o aeronautico, che spesso vengono rinvenuti tra i rottami metallici.
Inoltre, in alcuni tipi di parafulmine e di rivelatori di fumo, per un certo periodo precedente al 1995, venivano inglobate sorgenti di americio 241 e di radio 226: la maggior parte di questi dispositivi è ormai stato dismesso ma può capitare ancora che finiscano in discariche, impianti di raccolta rottami e fonderie.

Nelle fotografie a lato due parafulmini radioattivi dalla forma caratteristica