Il 10 luglio 2016 ricorrono i 40 anni dall’incidente dell'Icmesa di Meda che, nel 1976, causò la fuoriuscita e la dispersione di una nube di diossina TCDD, sostanza chimica fra le più tossiche, contaminando un’area molto vasta della bassa Brianza e, in particolare, il Comune di Seveso. Primo grande disastro ambientale della storia dell’industria chimica in Italia e non solo, il “disastro di Seveso” ha gravemente segnato la salute di cittadini e ambiente, con conseguenze ancora oggi tangibili. Ma l’incidente ha anche dato origine a una serie di iniziative sociali virtuose e, dal punto di vista normativo, alla nascita delle Direttive Europee Seveso.
Quella che segue è l’intervista rilasciata al quotidiano Il Cittadino di Monza e Brianza per lo speciale “Diossina 40”, da Bruno Simini, presidente di ARPA Lombardia, e Giuseppe Sgorbati, direttore tecnico scientifico dell’Agenzia, sull’evoluzione della normativa comunitaria per la prevenzione dei grandi rischi industriali e sulle autorizzazioni ambientali, e la loro applicazione in Italia e in Lombardia.
Se all’epoca dell’incidente fossero già stati in vigore tutti i regolamenti attuali, il disastro dell’ICMESA avrebbe potuto essere evitato? Lo chiediamo a Bruno Simini, presidente di ARPA Lombardia, l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente
L’applicazione di sistemi tecnici e gestionali, previsti nell’attuale assetto normativo per uno stabilimento RIR, impone proprio le misure preventive e protettive per evitare eventi di simile gravità. Questi sistemi forniscono, infatti, elementi di valutazione precauzionale volti a prevenire e, se necessario, a mitigare le conseguenze di un episodio che possa potenzialmente comportare un impatto sull’ambiente e una conseguente ricaduta per la popolazione eventualmente coinvolta. E ciò riguarda non solo aspetti puramente tecnici o impiantistici, riferiti allo stabilimento, ma anche l’analisi del contesto urbanistico e delle modalità di informazione della popolazione sul corretto comportamento da tenere in caso di incidente.
Il disastro di Seveso ebbe notevole risonanza pubblica anche a livello europeo, tant’è che gli Stati della UE decisero di dotarsi di una politica comune in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali. A Giuseppe Sgorbati, direttore Tecnico Scientifico dell’Agenzia, chiediamo come si è evoluta da allora la normativa europea e come vengono applicate le direttive in Italia.
In seguito all’incidente di Seveso, la Comunità Europea ha avviato la regolamentazione dei rischi di incidente rilevante (RIR) con la Direttiva 82/501/CE – la cosiddetta “Direttiva Seveso” - recepita in Italia con il DPR n. 175/1988. Per la prima volta stabilimenti industriali venivano classificati in base al rischio di incidente rilevante (RIR), in relazione alla attività svolta e alla presenza di sostanze pericolose (infiammabili, esplosive, comburenti, tossiche per l’uomo o per l’ambiente) oltre determinate soglie quantitative. La direttiva regolamentava l’attività di prevenzione del rischio prevedendo anche l’esame, da parte dell'autorità pubblica, di un apposito “Rapporto di Sicurezza”, che i Gestori degli stabilimenti devono redigere e aggiornare periodicamente.
Successivamente, il D.Lgs.n. 334/1999 - recepimento della direttiva 96/82/CE (Seveso II) - ha imposto ai Gestori delle aziende RIR le misure necessarie per prevenire gli eventi dannosi e limitarne le conseguenze per le persone e l'ambiente, attraverso una politica di prevenzione dei rischi di incidente rilevante che comprende diversi obblighi, quali l’adozione di un sistema di gestione della sicurezza (SGS) e la predisposizione di un Piano di emergenza interna, oltre alla notifica alle Autorità competenti.
In base a questi nuovi ulteriori adempimenti, da allora i gestori degli stabilimenti RIR sono sottoposti a controlli, ispezioni e valutazioni da parte delle Autorità competenti. Inoltre, la Seveso II ha affidato ulteriori competenze alle prefetture per la predisposizione dei Piani di emergenza esterna, ai sindaci, Autorità locale di protezione civile, per l’informazione alla popolazione sui rischi ed i comportamenti da assumere in caso di incidente e ai Comuni per il controllo dello sviluppo urbanistico nelle aree circostanti gli stabilimenti RIR.
La Direttiva 2012/18/UE (“Seveso III”) - recepita in Italia con il D.Lgs. n.105/2015 - è stata emanata essenzialmente nella prospettiva di adeguare la disciplina delle aziende RIR al recente cambiamento del sistema di classificazione delle sostanze chimiche, intervenuto in base al regolamento CE n. 1272/2008, CLP, al fine di armonizzare la regolamentazione dell’Unione europea con quella adottata a livello internazionale in ambito ONU.
L’evoluzione normativa traccia con chiarezza l’evoluzione della visione della Commissione Europea e della comunità scientifica rispetto alla gestione del rischio: da un iniziale concetto di sicurezza focalizzato principalmente alle installazioni industriali e ai lavoratori, si è passati ad una visione più ampia che considera le attività produttive nel contesto territoriale, urbano ed ambientale in cui sorgono, con crescente attenzione alla tutela della popolazione e dell’ambiente circostante.
Quante sono le Aziende RIR in Italia e in Lombardia? In che cosa consiste l’attività di ARPA a riguardo?
In Italia ci sono complessivamente circa 1.100 stabilimenti RIR di cui il 26% in Lombardia.
I funzionari di ARPA Lombardia, insieme a quelli di INAIL e ai VVF, sono componenti delle commissioni per le verifiche sui Sistemi di Gestione della Sicurezza (SGS), che vengono svolte per controllare che i Gestori, in relazione alle attività esercitate nello stabilimento, abbiano adottato misure adeguate per prevenire qualsiasi incidente rilevante e dispongano dei mezzi sufficienti a limitare le conseguenze, in caso di incidente, sia all’interno che all’esterno del sito. Viene inoltre controllato che i rapporti di sicurezza, o altra documentazione pertinente, descrivano fedelmente la situazione dello stabilimento. Infine, viene verificata la completezza e la conformità delle informazioni da rendere disponibili al pubblico.
Le ispezioni presso le aziende sono pianificate annualmente dalla Regione per gli stabilimenti classificati come “soglia inferiore” (a minor rischio nel novero delle aziende RIR) e dal Comitato Tecnico Regionale per gli stabilimenti di “soglia superiore” (di rischio maggiore).
Al Comitato Tecnico Regionale, che rappresenta l’organo collegiale in cui sono valutati i Rapporti di sicurezza predisposti dai gestori sulla base delle ipotesi di incidente, partecipano anche in forma stabile rappresentanti di ARPA.
Gli stabilimenti classificati RIR sono anche soggetti ad altre autorizzazioni ambientali? Quali?
La normativa in materia ambientale prescrive a tutte le attività produttive – e quindi anche alle aziende RIR - di dotarsi delle autorizzazioni ambientali necessarie in funzione della tipologia di attività, delle dimensioni dello stabilimento e del quantitativo delle sostanze pericolose utilizzate. Tra le principali autorizzazioni ambientali si ricordano l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA), l’autorizzazione Unica in materia di rifiuti.
Data ultimo aggiornamento: 29/06/2016
Data ultimo aggiornamento
29/06/2016